La storia della Messa a quattro voci scritta nel 1879 è tutta peculiare: è indubbiamente la prima rivelazione del talento di Giacomo Puccini ma, in realtà, dopo l’esecuzione nella Chiesa di San Paolino a Lucca, resterà chiusa in un cassetto per molti decenni, fino al 1952 quando Dante Del Fiorentino, diventato nel frattempo parroco della Chiesa di St. Lucy a Brooklyn, pubblicò ed eseguì la Messa, ritrovata tra le carte che aveva consultato per preparare la biografia di Puccini.
Il titolo scelto da Del Fiorentino, fu Messa di Gloria, titolo tutto sommato fuorviante, riferendosi al rilievo del Gloria all’interno della Messa e non alla forma canonica della Messa di Gloria, di norma composta solamente da Kyrie e Gloria.
Giacomo Puccini non la pubblicò mai: egli era la quinta generazione dei Puccini, famiglia di musicisti che dal primo Settecento aveva dato alla città di Lucca organisti della Cattedrale di San Martino, maestri della Cappella di Palazzo, docenti dell’Istituto musicale, autori di opere e di musica sacra. Quando morì suo padre Michele, organista della Cattedrale e direttore dell’Istituto musicale fondato da Giovanni Pacini, Giacomo non aveva nemmeno sei anni ed era l’unico maschio in una famiglia di femmine, con ben sei sorelle. Il fratello Michele, infatti, nascerà un paio di mesi dopo la morte del padre.
La vocazione di Giacomo Puccini non era però quella di proseguire la tradizione di famiglia dedicandosi alla musica sacra: inizialmente si mosse entro questo orizzonte con il mottetto scritto nel 1877 per la festa di San Paolino, il patrono della città. Un anno dopo, sempre nella chiesa di San Paolino, Puccini ebbe un successo ancor più lusinghiero con il Credo scritto per una Messa collettiva degli allievi dell’Istituto musicale, intitolato a Pacini dopo la sua scomparsa, Credo poi inglobato nella Messa a quattro voci con qualche tocco originale, come l’elegiaca marcia funebre in sol minore affidata ai soli baritoni per descrivere il Cristo crocefisso e sepolto per rimettere i nostri peccati.
Dopo aver assistito a un’Aida allestita con notevoli mezzi a Pisa (Puccini vi era andato a piedi in compagnia di alcuni amici per vedere l’opera, riportandone un’impressione fortissima), il cuore di Puccini, ormai, era interamente rivolto al mondo del teatro.
Nella musica della Messa si riversano le molteplici passioni accumulate nel processo di formazione del giovane musicista, in maniera però tutt’altro che arruffata e superficiale.
Innanzitutto, forte, si nota l’influenza di Verdi che è evidente fin dalle prime note del Kyrie, introdotto da una sensuale polifonia degli archi, rinforzata da un elemento di profilo più drammatico a note accentate.
La scrittura vocale, comunque, s’ispira allo stile imitativo della polifonia classica di Palestrina, modello di studio nei Conservatori italiani dell’Ottocento. Quelle libertà mondane che la sorella Iginia (in procinto di prendere i voti) rimproverava a Giacomo si manifestano subito, invece, all’inizio del Gloria, con un tema tambureggiante forse un po’ troppo leggero per una dossologia solenne, specie se rinforzato da squilli di tromba garibaldini.
Et in terra pax e Laudamus te, inoltre, mostrano i segni della musica religiosa del suo tempo, studiata forse sui grandi oratori di Mendelssohn.
Il primo, autentico esempio della mano di Puccini è il successivo Gratias agimus tibi, scritta per la voce di un tenore solista. Qui si scorge lo stile del futuro maestro di teatro, con un calore espressivo e un accento profondamente umano. L’ombra di Verdi si allunga prepotentemente sul Qui tollis, che non è una copia sbiadita dell’originale, bensì una bella pagina animata dalla sensibilità di Puccini per il flusso razionale ed estetico dell’armonia.
Cum Sancto Spiritu, che il critico della “Provincia di Lucca” aveva definito “un fugone coi baffi“, è davvero un esercizio bachiano di alta scuola, dimostrando che la leggenda del Puccini pigro e svogliato non corrisponde poi alla realtà delle cose. Al contrario, forse il giovane maestro, desideroso di mettersi in mostra ha voluto strafare, incorporando nella doppia fuga finale il tema del Gloria e gettando nella stretta conclusiva una massiccia dose di retorica sonora. Per un compositore di poco più che vent’anni, è un risultato tutt’altro che mediocre.
Si torna a respirare un’aria nuova con le due brevi pagine finali, Sanctus e Benedictus e Agnus Dei. Il Benedictus, intonato da un baritono solista, è colorato nella sua semplicità da un’armonia fresca, che lascia intravedere l’autore di Manon Lescaut, così come leggero e intimo è il duetto finale tra baritono e tenore nell’Agnus Dei, punteggiato dal richiamo del coro Miserere nobis.
Il sipario cala sulla Messa con un ritmo gentile di valzer, accompagnato solo dai fiati e dal pizzicato degli archi, si potrebbe dire una maniera discreta, da parte di Puccini, per dire addio alla tradizione della musica sacra di famiglia.
Fonte (liberamente tratto da): Oreste Bossini