Riflessioni sparse…
di Walter Marzilli
Partiamo da una supposizione assurda: immaginiamo che da domani, improvvisamente, la televisione, le radio e i quotidiani non dicano più una sola parola sulla polifonia e la coralità.
Cambierebbe qualcosa? Il ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca noterebbe qualcosa di anomalo? Noi stessi, che viviamo nel mondo corale e del mondo corale, avvertiremmo un campanello di allarme?
Credo di no. Tutto continuerebbe come prima. Si può anche immaginare che nemmeno lunghi mesi di “silenzio stampa” avrebbero (hanno avuto) il potere di creare uno stato di allarme. Semplicemente perché non ci sarebbe nulla di cui allarmarsi: nei mass media la polifonia è praticamente ignorata. Si salvano solo le grandi produzioni lirico-sinfoniche e gli avvenimenti di proporzioni rilevanti.
Non c’è praticamente traccia di polifonia o di coralità nemmeno nei jingles pubblicitari, costituiti essenzialmente da melodie monodiche oppure strumentali, e neppure nelle sigle dei programmi televisivi e radiofonici, in genere strumentali oppure anch’esse monodiche.
È vero che in questo campo specifico occorre fare i conti con la necessità della forza d’impatto e della capacità di penetrazione del messaggio, che sono caratteristiche essenziali ed irrinunciabili nella costruzione di una sigla o di un ritornello pubblicitario. Resta però nettamente definita e indiscutibile la scelta “culturale” di rinunciare al linguaggio corale, considerato inefficace, forse antiquato, o troppo legato agli ambienti ecclesiastici.